Le invenzioni delle donne
Pensate quante altre cose avrebbero potuto inventare le donne se non fossero state escluse dall’ambiente scientifico. Ecco solo alcune delle loro invenzioni:
MARY ANDERSON, INVENTRICE DEI TERGICRISTALLI
Se quando piove e state guidando e non vi dovete fermare perché non vedere niente lo dovete a una donna. Mary Anderson nacque nel 1866 in Alabama: l’idea del tergicristallo le venne nel 1902 a New York, dove il freddo non era un evento tanto raro. Durante un viaggio in tram, notò che il conducente era costretto a viaggiare con la testa fuori dal finestrino e a fermarsi spesso per togliere la neve dal parabrezza. Tornata a casa, Mary brevettò il tergicristallo, che però non riscosse successo presso la neonata industria automobilistica. Alla scadenza del brevetto, vent’anni dopo, Mary non volle rinnovarlo e i costruttori ebbero libero accesso alla sua invenzione. Ringraziamola ora, visto che la storia fu molto ingenerosa con lei.
ELIZABETH MAGIE, INVENTRICE DEL MONOPOLY
Paperelle, funghetti, vezzose casette di legno, toponimi generici: Monopoly (o Monopoli) nacque con il nome The Landlord’s Game, “gioco del proprietario di case”, e fu inventato da Elizabeth Magie con intenti educativi. Magie voleva mostrare le conseguenze delle teorie economiche in voga ai primi del ‘900, e la sua idea – quella di un gioco in cui i ricchi diventano molto ricchi affittando delle proprietà, mentre i poveri diventano più poveri – fu un vero successo. Il gioco colpì l’immaginazione di un venditore di caldaie, Charles Darrow, che lo copiò e ne vendette la sua versione. Il ruolo di Elizabeth Magie non è stato riconosciuto se non in tempi recenti: il che ci porta direttamente a…
ROSALIND FRANKLIN E LA SCOPERTA DEL DNA
Watson e Crick furono premiati con il Nobel per la medicina nel 1963 per la scoperta del DNA, quattro anni dopo la prematura scomparsa della donna che per prima aveva fotografato la doppia elica. Il lavoro di Rosalind Franklin non fu che una nota a margine nell’esposizione dei due scienziati, che utilizzarono la scoperta di Franklin a sua insaputa. Un torto che aveva radici in un maschilismo molto radicato: quando la scienziata arrivò nel laboratorio del King’s College di Londra, al lavoro sulla struttura del DNA c’era già il fisico Maurice Wilkins, molto infastidito dalla presenza di una donna, per giunta più giovane di lui, sul suo territorio.
GRACE HOPPER, PROGRAMMATRICE DEL PRIMO COMPUTER
Per fortuna non tutte le invenzioni vennero scippate alle legittime proprietarie. Grace Hopper, detta “Amazing Grace”, era una professoressa di matematica alla Vassar University: una donnina minuscola, che dovette chiedere un permesso speciale per arruolarsi in Marina durante la guerra. È a lei che dobbiamo l’invenzione di COBOL, uno dei primi linguaggi di programmazione che usavano la struttura della lingua naturale. Hopper fu anche una delle programmatrici del primo computer, il gigantesco Harvard Mark I. A lei si attribuisce anche l’invenzione del termine “debugging”, arrivato fino a noi per indicare la rimozione dei problemi in un software, ma che lei cominciò a usare dopo aver rimosso una farfallina da una macchina.
Alla sua morte aveva raggiunto il grado di Ammiraglio.
BETTE NESMITH GRAHAM, INVENTRICE DEL BIANCHETTO
Molto ma molto prima dei programmi di scrittura al computer c’erano le macchine da scrivere, e Bette Nesmith, madre divorziata di un bimbo di nome Michael, lavorava come segretaria. Fu lei, nel dopoguerra, a inventarsi un sistema per correggere gli errori senza lasciare tracce, utilizzando una sorta di colore a tempera che si asciugava in fretta e permetteva di riscrivere le parole sbagliate: un’invenzione che ha salvato la vita non solo di molte segretarie, ma anche di moltissimi studenti del liceo alle prese con i compiti in classe. Lei lo chiamò Liquid Paper, e fece la sua fortuna.
Il bimbo di nome Michael poi diventò uno dei componenti dei Monkees, la band immaginaria al centro della serie omonima che diventò poi una band vera e nel 1967 vendeva più dischi di Beatles e Rolling Stones messi insieme. Ma questa è un’altra storia.
Chiara Masetta